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SIETE VENUTI A TROVARMI?

Compagnia Chille de la balanza

SIETE VENUTI A TROVARMI?

di e con Matteo Pecorini

Un diario di un internato nel manicomio di San Salvi diventa Teatro.

Continua la ricerca dei Chille de la balanza sulla memoria del manicomio di San Salvi. Un piccolo-grande evento, firmato dal più giovane attore formatosi in casa Chille, Matteo Pecorini. Parliamo di “Siete venuti a trovarmi?”, un divertente e amaro spettacolo che mette in scena in una grande stanza un diario recentemente ritrovato di un paziente sansalvino, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta: A.L. le sue iniziali.


Recensione di Andrea Mancini

Sono molti i testi teatrali tratti da diari scritti tra Otto Novecento, in quei luoghi di segregazione assoluta che erano i manicomi. Alcune persone – uomini, donne e anche bambini – vivevano lì senza neppure una reale consapevolezza della loro assurda condizione.
Citerei almeno due testi di cui sono stato testimone diretto, che hanno prodotto lavori complessi, con vere e proprie rappresentazioni, ma anche con performance artistiche di grande spessore. Quasi che il materiale fosse lì pronto, ad aspettare, prezioso ed intrigante, per trasformarsi in opera d’arte. Cioè “L’amore con Erode” di Costanza Caglià, edito negli anni 80 dalla Libreria delle donne e il Diario di Adalgisa Conti, curato da Luciano Della Mea per Mazzotta. Ambedue questi testi sono stati di ispirazione a tanti artisti, il loro dramma aveva già per sua natura il giusto straniamento, era già parte di un discorso artistico.

Adesso è la volta di Matteo Pecorini, il diario è quello di un ex carabiniere, meridionale, felicemente sposato e padre di tre figlie, trasferitosi a Firenze, dove ha dato quei segni di squilibrio mentale che l’hanno fatto ricoverare dentro il Manicomio di San Salvi.
È forse inutile entrare nella storia di A.L., è simile a quella di tanti altri, ciò che qui interessa è – come sempre – il modo che si è scelto per interpretarla.
C’è intanto un giovane, Matteo Pecorini appunto, che si avvicina al tragico, quello attraversato da queste persone, ma anche al comico, perché la tragedia a volte è talmente assurda che riesce anche a far ridere, o comunque sorridere. Matteo gioca appunto su più registri, e in questo somiglia ai suoi maestri, Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza di Chille de la balanza.
Chille vive in Toscana da quasi una vita, ma non smentisce mai il suo essere meridionale: vedere il mondo attraverso la maschera di Pulcinella, sempre così terribile da far scompisciare dalle risa. Così Ascoli e Abbondanza si sono avvicinati alle avanguardie, non solo quelle teatrali, senza renderle in modo mai troppo serio.
Vedo dietro a Pecorini la loro lezione, i frutti di un percorso che quasi venti anni fa li ha portati dentro l’Ospedale psichiatrico di Firenze, ma che prima di allora li aveva anche indirizzati verso zone originali, dell’essere gente di teatro.
Allora i Chille erano ancora lontani da quella strategia che li avrebbe poi caratterizzati. Ma è proprio su questa strada che invece hanno incontrato Matteo, coinvolgendolo nel loro lavoro creativo, fino a renderlo autonomamente capace di proprie azioni teatrali.
Questo “Siete venuti a trovarmi” è appunto una di queste azioni, ed ho citato il titolo tutt’altro che per caso, perché quelle parole sono il tormentone della serata, servono a Matteo per far capire la relativa follia del personaggio, ma anche per permettergli di interloquire con qualcuno che forse c’è, forse non c’è, in ogni caso è in fondo al corridoio, in fondo al quale l’attore sparisce per qualche attimo e alla fine sparisce definitivamente.
Nel frattempo ha preparato un paio di macchinette di caffè ha coinvolto il pubblico, offrendo a qualcuno la tazzulella ‘e caffè di eduardiana memoria e facendo ad altri un fuoco di fila di domande, alle quali in genere lo spettatore interloquito all’inizio riesce a rispondere, poi Matteo entra in un giro più complesso e il povero spettatore coinvolto si imbroglia malamente, tra le risa degli altri.
Il pubblico non è mai troppo, ed è disposto in modo disordinato nella sala, l’attore recita nel mezzo ai suoi spettatori, che subito si sentono coinvolti, racconta la sua semplice vicenda umana, quella che, a un certo punto, lo fa incontrare con la follia. Come in una cartella clinica di stampo positivista, non si capisce quale sia stato il motivo scatenante, o meglio, si traccia semplicemente il quadro clinico, starà poi al medico, o meglio al pubblico, esprimere il suo giudizio. Tanto più il pubblico si sentirà partecipe, coinvolto appunto, tanto più giustificherà la vita di cui ascolta i tratti. Tanto più si sentirà estraneo, tanto troverà il comportamento di A.L. assurdo fin dall’inizio, malato.

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Matteo Pecorini non esprime appunto giudizi, ma tenta di rendere partecipi gli spettatori, dunque in qualche modo si sente anche lui coinvolto in questo gioco rappresentazione, dove qualcuno è venuto a trovarlo e l’unico modo che Matteo ha per accoglierlo è sommergerlo con un fiume ininterrotto di parole. La cascata si blocca solo alla fine, quando il nostro interlocutore decide di restare nel buio, in fondo al corridoio, nel tunnel della sua “pazzeria”, come a San Salvi veniva chiamata nell’Ottocento.
Lo spettacolo è molto semplice, ma di grande suggestione, Pecorini riesce nel suo intento di far partecipare chi lo segue. Riesce anche a far sorridere, come si può far a meno di sorridere dei discorsi di un pazzo? Il risultato è a dir poco eccezionale, vale molto di più di qualsiasi lezione di storia.
La tristezza che si legge nelle parole di quest’uomo, il volto dell’attore che lo interpreta, raccontano meglio di qualsiasi libro, l’assurdità dell’isolamento, la perversione della malattia, o meglio della storia di una medicina che ha provato comunque a confrontarsi positivamente con la follia. Nel senso che la maggior parte dei medici dell’Ottocento e quelli del Novecento, volevano comunque il bene dei loro pazienti e tentavano, a modo loro, di perseguirlo. Che poi tutto entrasse dalla porta principale proprio dentro la malattia, questo è un discorso diverso, che forse non coinvolge il teatro. O meglio lo porta esattamente proprio lì, dove vive meglio: nella “fossa dei leoni”, come si chiamava a Volterra quella buca che “ospitava” i malati più gravi, in condizioni che definire disumane è un complimento.

Quando Claudio Ascoli conduce per mano gli spettatori sui tetti di San Salvi o anche vicino a quegli artisti che hanno incontrato la follia, gioca alto, proprio su questi temi. Il rischio è davvero grande, ma i nomi incontrati valgono la partita, sono Van Gogh, Artaud o i grandissimi e toscani Dino Campana e Venturino Venturi, di cui nella sede di Chille si possono ammirare alcune splendide opere soprattutto di scultura, realizzate proprio durante il ricovero in questo Ospedale psichiatrico.
Adesso Matteo Pecorini aggiunge il suo personaggio, il diario di A.L. da Capaccio, un gran risultato, da mostrare a tanti, che può stimolare riflessioni e azioni di condanna, soprattutto rispetto alla segregazione, all’isolamento, impossibili da sopportare, ma mai completamente rimossi.

Nelle foto di Ivan Margheri, Linda Gramignan e Marco Iacobelli: Matteo Pecorini