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LETTERA A UNA PROFESSORESSA

I CARE. Lettera a una professoressa
sarà la nuova produzione 2023 della compagnia Chille de la balanza
in occasione del centenario della nascita di Don Milani

LETTERA A UNA PROFESSORESSA

Compagnia Chille de la balanza

con la partecipazione di Sissi Abbondanza e Monica Fabbri

Foto Paolo Lauri

Luci e suoni: Teresa Palminiello, Francesco Lascialfari
Montaggio video: Francesco Ritondale
Prodotto In collaborazione con il Centro Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana di Vicchio

Liberamente ispirato al libro-creazione collettiva degli allievi di Barbiana con la “regia” di Don Lorenzo Milani, nel 50.mo della sua pubblicazione e della scomparsa del Maestro.


Prima rappresentazione venerdì 26 maggio 2017 ore 21.15
Teatro Giotto Vicchio

scuola

Una nuova edizione di uno degli spettacoli di punta della compagnia teatrale, arricchito  dalle creazioni pittoriche in tempo reale di Monica Fabbri.

“E’ un libro veramente bello, un vento di vitalità. Fa ridere da soli, e immediatamente dopo vengono le lagrime agli occhi. (…) Di questo libro devo dire in generale tutto il bene possibile: non mi è mai capitato di essere entusiasta di qualcosa e di sentirmi obbligato, costretto a dire agli altri: leggetelo! Lettera a una professoressa riguarda sì la scuola come argomento specifico, ma nella realtà riguarda la società italiana, l’attualità di vita italiana.”  Sono parole di Pier Paolo Pasolini all’indomani della pubblicazione di un libro che avrebbe lasciato una vasta eco nella società italiana: e non è un caso che già dopo pochi anni i decreti delegati e più in generale una nuova idea di scuola (e di società) misero profonde radici, pur tra mille contraddizioni. Oggi i tempi sono cambiati e di molto: è difficile ritrovare la realtà contadina di Barbiana o quella operaia di Calenzano (due luoghi fondamentali nell’universo di Don Milani), né c’è più la contrapposizione frontale tra mondo cattolico e comunista.  Ma mai come in questi ultimi anni la Scuola è ritornata al centro dell’attenzione generale, forse perché si assiste ad un ritorno a condizioni incerte (pur tra mille differenze) a quelle nelle quali operò Don Milani nel suo percorso per “portare un uomo ad essere libero, ad essere soggetto consapevole”. Sembra stia venendo meno, per dirla con parole di Padre Balducci su Don Milani, “la laicità come immediatezza del rapporto tra uomo e uomo, senza strumentalizzazioni confessionali: come pura passione per l’uomo che deve essere se stesso, (…) l’educazione come addestramento alla critica.”  Nella Lettera ai giudici Don Milani osservava: “La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). (…) Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservare quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.”


Dicono della nostra Lettera:

SPETTACOLO DELL'ANNO su DOPPIOZERO

La pratica della pazienza

Lo spettacolo dell’anno, per me, è il modo artigianale di fare teatro di Costruire è facile? di Batignani & Faloppa, visto d’estate a Sansepolcro per Kilowatt Festival 2017, e di Lettera a una professoressa dei Chille de la balanza, visto l’ottobre scorso nell’ex manicomio di San Salvi a Firenze. Due lavori nel senso vero e stretto del termine, perché entrambi nascono concretamente ogni sera dall’opera manuale degli attori.

La scena è il pubblico, i pochi e poveri materiali usati, cartone, spago, legno, ferro, servono a creare il luogo dell’incontro e le parole con cui raccontarlo anche e soprattutto fuori, nella realtà del mondo. Di conseguenza, il tempo non è stabilito a priori, da un copione misurato sull’impazienza dell’effetto speciale, piuttosto è ‘naturale’, quello che ci vuole ed è richiesto dall’azione del costruire. Né di più né, in particolare, di meno.

Chiedono un impegno di partecipazione e uno sforzo di attenzione a cui non siamo più abituati, indotti ormai dal mercato o chi per esso a pretendere tutto e subito, con il maggior consumo alimentato da un sempre minor appagamento. E invece, qui qualcosa può accadere come no, ma non lo sai se non aspetti, se non arrivi alla fine, se non vai fino in fondo, insieme agli altri seduti accanto a te.

Costruire è facile? e Lettera a una professoressa mettono in atto la pratica della pazienza e non a caso si confrontano con l’esempio di due maestri irregolari: Bruno Munari, che il 2 febbraio 1956 si reinventa fabbricante di giocattoli per la trasmissione Rai Costruire è facile; don Lorenzo Milani che, con l’esperienza rivoluzionaria di Barbiana, afferma il diritto di tutti allo studio contro la scuola classista degli anni ’60.

Quella che per Munari è una certezza da insegnare, per David Batignani e Simone Faloppa è una domanda da condividere, messa a punto incontrando gli artigiani nelle piazze d’Italia, la loro condizione di marginalità progressiva e inarrestabile. La stessa cura verso i marginali, gli ultimi, appartiene a Claudio Ascoli che, con la partecipazione di Sissi Abbondanza e Monica Fabbri, consegna la storica Lettera a una professoressa al palcoscenico di una nuova ‘scrittura collettiva’, come fu in origine per sei allievi sotto la guida di Don Milani.

La pazienza viene ripagata con la libertà di scegliere attivamente. Ognuno contribuisce, per proprio conto e secondo le proprie capacità, al sapere dell’altro e alla riuscita comune, tanto da costituire una temporanea comunità che il Priore di Barbiana avrebbe chiamato ‘educante’. Nessuno viene o si sente escluso, perché ci riuniamo tra eguali a un tavolo. Batignani & Faloppa l’hanno realizzato davanti ai nostri occhi con una perizia che sembra magia; i Chille sono andati a prenderlo dalla casa e dalla biografia di Ascoli.

Attorno al cartone di Costruire è facile? e al legno di Lettera a una professoressa. dopo che alle cose, mettiamo mano a noi stessi. Una sorprendente esperienza di riscoperta che il cambiamento è di tutti per tutti. Non uno di meno.

Matteo Brighenti

su DOPPIOZERO

Scuola e comunità...”

Scuola e comunità: i Chille scrivono a teatro “Lettera a una professoressa”

Foto di Paolo Lauri

Claudio Ascoli ha a cuore il racconto al pari di una ragione di vita, parla con profondità e leggerezza, come se ci fosse stato e avesse visto in prima persona (gli aneddoti vengono dagli stessi ragazzi di Barbiana) Don Milani prendersela con il Papa o levare il crocifisso dalla sua aula a Calenzano. Considerare le persone più importanti delle leggi.
Con Beethoven si smonta ciò che è stato costruito finora, mentre Monica Fabbri, che ha re-inventato per immagini la Lettera in Ho disegnato lettera a una professoressa (edito da La conchiglia di Santiago), attacca su un pannello i fogli su cui, in precedenza, abbiamo scritto o disegnato quello che volevamo con il pennarello rosso o blu (i colori usati a scuola per segnare gli errori). Un ulteriore cartoncino nero messo sopra quei fogli ritaglia fiori e mani piene di parole e disegni.
Dopo aver creato, in modo invero faticoso, con tanto di saldatore, una scultura alla Duchamp di travi in metallo, una vanga e una ruota di bicicletta, Ascoli ritorna a leggere la Lettera a una professoressa, il testo suscitato dal Priore che la pensava come Pasolini nella poesia A un papa: “peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare”.
Non è bene il linguaggio che confonde, l’intelligenza ridotta al saper fare le somme. Cultura è comunicare tra uguali, capirsi tra diversi.

Matteo Brighenti

su PAC PaneAcquaCulture

La recensione della prima edizione

“Lettera ad una professoressa” i Chille de la balanza a Vicchio per ricordare Don Lorenzo Milani”

Spettacolo tutto anticonvenzionale, sperimentale, di rottura, quello proposto dai Chille lo scorso sabato presso il teatro Giotto a Vicchio. Il luogo che li ha ospitati è già di per se stesso testimonianza di una lotta importante: qualche decennio fa il teatro avrebbe dovuto diventare un grande centro commerciale e solo la forza d’animo, l’intelligenza di qualche cittadino ricco di spirito di iniziativa è riuscito a salvarlo. Anche il Comune di Vicchio ha accolto la provocazione di uno spettacolo tanto atipico ed è stato giustamente ripagato con la presenza di ben 220 persone contro le 150 che il teatro Giotto può di fatto contenere. Gli stessi allievi di Don Milani, presenti in sala, hanno permesso un’operazione così nuova, vi hanno collaborato con vero entusiasmo e generosità, commossi di fronte alla messa in scena di un loro importante vissuto e di fronte all’omaggio per l’amato maestro. Uno spettacolo coraggioso dunque e anche di rottura appunto, come lo stesso Don Milani avrebbe desiderato, sia perché teso a non mitizzare Don Lorenzo, a non fare di lui un eroe (“povero quel paese che ha bisogno di eroi”) sia perché strutturato principalmente sull’appellativo milaniano per eccellenza: “l’obbedienza non è più una virtù!”. Obbedienti i Chille non sono stati affatto né al tempo della performance – durata infatti oltre due ore – né alla composizione scenica tradizionale. La parete divisoria fra pubblico e attore si è rotta ripetutamente coinvolgendo tutti gli spettatori al fine di costruire quella che Don Milani avrebbe chiamato una “comunità educante”. La stessa struttura portante dello spettacolo è stata destrutturata e resa collage di video, citazioni, reading con la partecipazione attiva di alcuni spettatori. Un collage reso visibile e concretissimo del resto, dall’originale creazione di Sissi Abbondanza sul palco a fine performance: una torre di metallo assemblata e saldata sul momento, con una ruota ed una pala, simboli della fatica del lavoro cui i ragazzi di Don Milani erano costretti quotidianamente sui campi, ma anche simbolo di una possibilità di riscatto grazie alla volontà e alla determinazione, grazie alla comune lotta per la libertà. Una creazione alla Duchamp dunque che dà forza e sostanza allo spettacolo stesso e se ne fa simbolo. Spettacolo di rottura come gioco, dunque, ma un gioco molto serio nel rispetto di quel rigore milaniano, valore fondante di tutta la sua esistenza di uomo ed educatore, a cui più volte Claudio Ascoli ha fatto riferimento. Spettacolo di rottura perché ironico capovolgimento di quei falsi valori considerati invece fondanti dai sistemi tradizionali: prima di tutto dalla Chiesa e dallo stato. Così la lettera scritta da Don Milani al Vaticano, documento altissimo che testimonia tutta la sua lotta per la verità e la giustizia, smaschera le ipocrisie della Chiesa, i suoi soprusi sui più deboli, la sua generosità fasulla. Un capovolgimento anche di un possibile ordine cronologico degli eventi: Claudio Ascoli ha scelto non di narrare ma di guidare, come farebbe un buon educatore lasciando agli spettatori la possibilità di scegliere, rendendoli cioè brechtianamente attivi e partecipi della loro stessa educazione, consapevoli della loro capacità di crescita. Proprio come avveniva nella piccola aula della scuola di Barbiana in cui tutti contribuivano al sapere comune, aiutavano gli alunni più piccoli, quelli in difficoltà, mentre Don Milani vigilava, guidava e lasciava che imparassero, che fossero loro i veri protagonisti del proprio processo di apprendimento. Così del resto nasce anche l’opera “Lettera ad una professoressa”, come scrittura di gruppo, come insieme di idee condivise e discusse, come sviluppo di un confronto e di una vera capacità critica. Quante volte Don Milani – e con lui Claudio Ascoli portavoce di quelle parole di lotta – aveva fatto sentire la sua voce contro coloro che l’avevano accusato di aver messo la firma sullo scritto per farsi pubblicità; quante volte aveva ripetuto che lo scritto “apparteneva solo ai suoi ragazzi”. L’idea di scrittura collettiva è stata resa visivamente e concretissimamente dalla costruzione sul palco di un grande tavolo per mano di alcuni spettatori scelti a caso fra il pubblico a sostegno di quel principio pedagogico tutto milaniano del “non perdere tempo” e del collaborare al fine di “fare cose utili per la comunità”. Seduti intorno ad esso, come mostrano ancora oggi alcune foto della scuola di Barbiana, si imparava a “curarsi” dell’altro, a “prendersi cura” del mondo, delle cose e delle persone. Così, non senza commozione,

Claudio Ascoli ha tirato fuori e appoggiato sul “grande banco” una valigia piena di ricordi tutti legati in varia misura alla vita di Don Milani: molti giornali, un vecchio biglietto del treno testimonianza della fuga di Don Milani da chi voleva incastrarlo politicamente, alcuni fogli con stampate alcune parole tratte dal dialetto barbianese, la bandiera del partito comunista e persino una banana, testimonianza di un episodio di umanissima generosità nella vita di Don Milani. Il senso di rottura è stato amplificato fin dall’inizio con l’intreccio originalissimo fra le figure di Pasolini, Basaglia e Don Milani. Tre figure scomode, fatte fuori dal sistema vigente, volutamente allontanate, esiliate, uccise dal sistema stesso (“è sempre il poeta a morire”). Pasolini, già attentamente studiato da Claudio Ascoli, viene mostrato in uno splendido video mentre, durante un’intervista, parla del libro più bello che abbia mai letto, “Lettera ad una professoressa”. Basaglia viene ricordato perché altra figura di rottura contraria a schemi sistematici e coercitivi. Al collage di video e sculture – da ricordare in particolare la composizione di Alessio Rinaldi – si aggiunga la suggestione offerta dalle musiche: non solo Bach e Beethoven amatissimi da Don Lorenzo ma anche canzoni inglesi, i Beatles e i Rolling Stones, e cassette francesi ascoltate dagli allievi di Barbiana per imparare la lingua straniera. Suggestioni generose offerte dai Chille dunque che culminano in un banchetto finale condiviso in convivialità e allegria mentre Claudio Ascoli sul palco resta muto a guardare la scultura, resta muto a riflettere sul valore della convivenza e del reciproco aiuto. L’intreccio si arricchisce e si amplia ulteriormente quando i Chille propongono una riflessione sulla scuola di oggi, con le sue contraddizioni e le sue tensioni, attraverso interviste nei mercati di Firenze e di Vicchio. Vere e proprie provocazioni per spingere ad un ripensamento su ciò che veramente si sa della scuola e su ciò che essa dovrebbe diventare: un luogo di umana accoglienza, di uguaglianza e di libertà spirituale.

In tutto questo intreccio e gioco ad incastri il nucleo dello spettacolo resta e brilla sotto la luce della lampada centrale del palcoscenico: l’attenzione va a Don Lorenzo, come lo ha chiamato Claudio Ascoli durante tutto il corso della serata, ossia all’uomo che con coraggio ha capovolto un sistema ingiusto cercando un nuovo modo di fare scuola, ossia di imparare a stare al mondo –  rispettando il prossimo, curandosi dell’altro, amando tutti i giovani: “…io i giovani li vedo splendere, li stimo sopra ogni cosa”.  

Claudia Vitale

“Esibendo il suo corpo, il movimento delle mani verso le immagini di un video con la voce di Don Milani, o verso la installazione finale prodotta in scena con fiamma ossidrica, Claudio Ascoli sembrava volesse comunicarci qualcosa che non si può dire a parole, che dobbiamo cercare dentro noi stessi. Qualcosa di sacro aleggiava su di lui e su di noi,quel tavolo era anche l’ultima cena? L’ultimo giaciglio di Don Lorenzo? O era Agape e il sogno rinato di una commensalità delle genti del mondo?”

Pietro Clemente