La seconda edizione del progetto Spacciamo culture si è positivamente conclusa domenica con una festosa, ordinata partecipazione. Spacciamo Culture è un progetto dei Chille de la balanza con la preziosa collaborazione dell’architetto Eliana Martinelli con il contributo di Fondazione CR Firenze Accademia di Belle Arti di Firenze DIDA Ministero della cultura Regione Toscana Città di Firenze Azienda USL Toscana centro. Un ringraziamento speciale va all’Associazione Autismo Toscana e ad Ortolani Coraggiosi – Coop. Sinergica per aver portato a San Salvi Marcocavallo

1) Percorsi condivisi
Santiago Navarro
Camminare in uno spazio è abitarlo e coesistere in un’eterotopia con tutti quelli che l’hanno attraversato o abitato prima.
Il progetto che presento è un’installazione partecipativa che valorizza i percorsi che le persone creano spontaneamente quando decidono di camminare nella natura. Questi passaggi nel verde si creano anche in presenza di un marciapiede o di un percorso costruito.
Percorsi condivisi intende valorizzare gli impulsi naturali che scaturiscono dal contatto con la natura e come questi si confrontano con le indicazioni stabilite dalla società.
Non seguire il percorso segnato per crearne uno proprio, è una sottile metafora che collega gli artisti, i matti e le persone che attraversano quei sentieri. Il percorso condiviso, tracciato con trucioli di legno colorati, è un percorso nel percorso, creato in comunità.
2) Fermata Firenze Manicomio
Francesco Maria Cobucci
Che cos’è un nome? Quella che chiamiamo “rosa” anche con un altro nome avrebbe il suo profumo. Dare un nome alle cose significa farle esistere e gettare luce nuova sul loro essere.
Qui si cammina su un terreno da lungo tempo governato dalla chiusura, poi destinato all’abbandono, che con il passare degli anni si sta trasformando in qualcosa di nuovo nella totale noncuranza della memoria, che sta cancellando l’identità di questo luogo. Non ci può essere trasformazione senza il riconoscimento del valore di un passato che costituisce l’anima di un luogo.
Questo pezzo di terra chiuso in se stesso da sempre confina con la linea ferroviaria, punto di arrivi, di partenze, di speranze per giorni migliori, di incontri tra storie di gente.
La fermata Firenze Manicomio nasce dalla volontà di avverare un sogno, quello degli internati, costretti a vivere tra le mura, guardando ogni giorno i treni passare, immaginando di poterci salire e finalmente essere liberi.
Questo cartello ferroviario è una presa di coscienza, un urlo di liberazione, l’inizio di una trasformazione, una promessa da mantenere, un patto tra chi visita questo luogo e la sua anima.
3) Il sogno più grande
Rocco Lopardo e Giovanni Marino
Il sogno più grande è un bambino che gioca.
Il gioco è un mezzo per l’espressione di noi stessi e per la comunicazione delle nostre emozioni. Attraverso il gioco è possibile imparare qualcosa su noi stessi e sugli altri, mediante un dialogo che ha delle regole non convenzionali ed uniche ogni volta.
L’installazione vuole rappresentare il ruolo fondamentale del gioco nella comunicazione con gli altri attraverso la libera espressione di sé e della propria fantasia, garantendo un’interazione attiva. Per far ciò, è stato costruito un playground composto da tre elementi: un tubofono, per far musica ed ascoltare; un periscopio, per trovare nuovi modi di guardare l’altro; uno scivolo, per ricordare che qualunque limite si dissolve sotto il peso effimero di un gioco.
4) Corrispondenza negata
Chiara Gasbarro
“Alcuni sentono la loro voce interiore con grande chiarezza.
Vivono seguendo ciò che ascoltano.
Queste persone diventano pazze o diventano leggende…
Ho queste lettere.
Molte lettere.
Leggile.
Provengono da ognuno di loro.”
Vento di Passioni, Edward Zwick, 1994
Entrare in un luogo dal quale era difficile uscire e nel quale venivano intrappolate, tra le mura, la follia, la violenza, la paura, le grida, gli sguardi e non solo…
Il progetto Corrispondenza negata vuole essere una metafora del manicomio e rievocare l’annullamento della comunicazione verso l’esterno.
La cassetta postale è messa a disposizione del pubblico, il quale è invitato a prendersi tempo, tempo per scrivere ed imbucare, pensieri e lettere con l’illusione che questi poi vengano raccolti e i più belli pubblicati in un volume. In realtà questi verranno resi inutili attraverso l’annullamento e la cementificazione, così da non rappresentare un ponte di collegamento, ma un muro di divisione nel quale viene intrappolato il dialogo.
5) Devastazione erbacea
Valentina Messina
Il progetto si sviluppa con l’intento di contestare due aspetti che caratterizzano il vissuto all’interno del complesso manicomiale.
Da una parte, la concezione di ordine, associata all’idea di sanità, tradotta nell’articolarsi della struttura, espressa in tutta una serie di lavori manuali imposti al paziente con un fine terapeutico.
Dall’altra, il calcolo numerico, riscontrato nella conta del paziente all’interno dei singoli reparti, in più occasioni e senza che vi fosse una logica.
L’idea di dover associare un’azione ordinata come comportamento di un individuo sano, viene stravolta al punto da proporre un atteggiamento eccessivamente ordinato e illogico che, piuttosto che sano, potrebbe apparire solo come maniacale.
Facendo riferimento ad un capitolo di un romanzo di Italo Calvino, ossia “Il prato infinito” in “Palomar”, ripropongo l’idea di dover delimitare varie parti di prato, precisamente 1×1 m, per proporre al singolo visitatore di interagire con lo spazio ed effettuare una conta e catalogazione del singolo filo d’erba contenuto all’interno dell’area delimitata. Ad ogni partecipante sarà consegnato un kit ad uso personale, contenente gli “attrezzi” da utilizzare per compiere il “lavoro terapeutico” e riscontrare personalmente il beneficio dell’esperienza.
6) – x – = +
Collettività negata: ieri, oggi e domani
Elisa Bonciani
L’opera proposta indaga e nega il concetto di limite attraverso la gestualità.
Visitando il complesso di San Salvi mi sono ritrovata in un luogo che parla; si percepisce tutto: la gioia, il dolore, il collasso e la rinascita.
Ciò che mi ha lasciata interdetta è stata la spazialità del posto, così ampio ma allo stesso tempo chiuso e circoscritto. Ho trovato nei cancelli che tempestano San Salvi il La che ha dato vita al mio lavoro.
Definizione di cancello: chiusura a uno o due battenti costituita generalmente da barre verticali unite tra loro da traverse, posta a sbarramento di accessi o passaggi: aprire, chiudere il cancello.
L’atto di coprire il cancello non vuole nascondere ma bensì negare la realtà di reclusione che anche oggi viviamo, sottolineando quanto l’interazione sia fondamentale. Quando parlo di interazione intendo tutto ciò che crea un qualcosa, così dall’interazione fra due negazioni (una già presente sul territorio, i cancelli e l’altra che risiede nell’atto compiuto da me, del coprire) nasce questa installazione.
Per realizzare l’azione ho scelto di utilizzare delle lenzuola, in quanto per me sinonimo di intimità, sfera privata; trovo che l’unico modo per combattere la distanza sia essere il più veri possibile ed il modo migliore per farlo è mostrare la propria vulnerabilità.
7) Voci
Pengpeng Wang
San Salvi a Firenze fa parte di quei luoghi che erano attivi in Italia e che ora per fortuna non sono più esistenti: le case di cura per persone con problemi psichici.
A San Salvi ho individuato una parte che mi interessava molto: è una zona aperta con un cancello ed un muro basso. Il cancello è quell’oggetto che difende ed apre una prospettiva, ma qui a San Salvi era chiuso per i pazienti che non potevano uscire da soli.
Ho fissato sulla struttura del cancello 36 piccole radio a pila, rappresentano le voci libere, il ricordo, il frastuono di questo luogo un tempo abitato.
Ho voluto stabilire con questo mio intervento anche una relazione con il momento di grave pandemia che stiamo attraversando: il Covid-19 ha isolato le persone, le ha poste in solitudine, distanti, ed in questa distanza avvertiamo la presenza di molte voci che esistono ma che testimoniano nell’esistere la grande difficoltà e lo spaesamento che l’uomo sta attraversando.
8) La ronda dei folli
Alessio Porretta
Due scene diverse, due spazi analoghi.
L’affresco del Cenacolo di Andrea del Sarto, situato nell’omonimo museo nei pressi della chiesa di San Michele in San Salvi, articola la scena su due livelli; in basso, è permeata dallo stupore che avvolge gli sguardi degli apostoli seduti attorno al tavolo; in alto, la presenza di una terrazza con camminamento architravato, consente a due personaggi di assistere all’azione sottostante.
La struttura dell’ex Ospedale Psichiatrico San Salvi, rigorosa e ordinata, presenta lungo gli assi di simmetria dei camminamenti sopraelevati dai quali gli internati venivano costantemente controllati. L’architettura divide nuovamente la scena in due parti.
Questo è il punto di partenza di un’analisi volta a far immedesimare l’osservatore nel ruolo del diverso, dell’emarginato, guidandolo alla conclusione che l’unica anormalità nella sua situazione sia la presenza di una società folle e giudicatrice che etichetta le persone come “matte”. La ronda dei folli, eludendo il significato religioso dell’opera di del Sarto, sfrutta le analogie spaziali per mettere in luce le riflessioni suddette.
9) Come stelle cadenti
Leonardo Gori
“…I matti vanno contenti, sull’orlo della normalità,
Come stelle cadenti, nel mare della Tranquillità…“
I matti, Francesco De Gregori, 1987
Circondato, osservato e scrutato da volti amorfi carichi di sentimento. Invadenti nella loro relegazione marginale, i figuri si accalcano per rubare un fugace sguardo al passante, accompagnando i suoi passi, sospingendolo scomodamente attraverso un percorso fisico ed intellettivo, trovandosi alfine dinanzi a se stesso…
oppure no
…accorgendosi che il filtro con cui osservava distrattamente è lo stesso con cui anch’egli viene osservato, non essendo altro che un volto di passaggio per uno sguardo distratto.
Lo spazio ed il percorso creati dal loggiato concedono allo spettatore l’esperienza di immergersi dentro a questo racconto; egli si ritrova all’interno di un’esperienza breve, ma di assoluta intensità, dentro ad una folla invisibile, sentendosi un estraneo.
Percorrerla ed osservarla, per infine divenire parte di essa.
Per comprendere che quella diversità, non è mai esistita.
10) Restiamo connessi
Marco Conte e Matilde Ragazzini
Il contatto umano e la spensieratezza sono ciò che viene più a mancare in questo momento storico e che ha distinto la vita all’interno di un luogo particolare come San Salvi in passato.
Restiamo connessi, in un’epoca in cui le tecnologie ci permettono di rimanere in contatto con il resto del mondo senza spostarci da casa, si propone di farci ricordare ciò che si prova a riunirsi e interagire fisicamente con le altre persone, all’interno di un’atmosfera giocosa e colorata.
In una zona fitta di alberi come quella dell’ex area manifatturiera, l’opera si propone di avvicinare ancora di più queste distanze e coinvolgere il visitatore, attraverso l’inserimento di corpi verticali in legno, dandogli l’opportunità di creare in prima persona un percorso, segnandolo con un nastro colorato.
Man mano che la partecipazione aumenta si andrà a creare un pattern del tutto unico e originale, che animerà l’area altrimenti in disuso, e si potrà ammirare il ricco intreccio dei legami che uniscono esseri umani e natura, in questo momento di distanziamento.