di e con Claudio Ascoli. Con Rosario Terrone e Salvatore Nocera. Con la partecipazione del cantautore Massimiliano Larocca.

La produzione nasce nell’anno centenario della nascita di Pasolini. Il titolo è preso dall’ultimo capoverso del poema pasoliniano “Le ceneri di Gramsci”.
Lo spettacolo ha come sottotitolo PPPP Pier Paolo Pasolini Poeta. Intende far dialogare aspetti meno noti, ma non meno significativi dell’opera pasolinana, affiancando suoi brevi film quasi fiabeschi (Che cosa sono le nuvole, La terra vista dalle nuvole, La sequenza del fiore di carta) al poema forse più noto. Né sono tralasciate le poesie giovanili friulane, qui messe in musica da Massimiliano Larocca.
“E’ un brusìo la vita” si chiude con l’ultima intervista rilasciata a Furio Colombo il pomeriggio di quel 1 novembre 1975, poche ore prima dell’omicidio, e alla quale proprio Pasolini scelse il titolo da dare, ovvero “Siamo tutti in pericolo“. Colombo così riporta gli ultimi momenti dell’incontro: “Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?” È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande. “Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina”. Ma il giorno dopo, domenica, il corpo senza vita di Pasolini era all’obitorio della polizia di Roma”.
Ancora qualche necessaria parola su “Le ceneri di Gramsci”. E’ una poesia di Pier Paolo Pasolini, contenuta nella raccolta omonima pubblicata nel 1957. Il poeta si trova davanti alla tomba di Antonio Gramsci presso il cimitero acattolico a Roma e dialoga con le sue spoglie. Descrive un maggio autunnale, che sembra rappresentare “il grigiore del mondo, | la fine del decennio in cui ci appare | tra le macerie finito il profondo | e ingenuo sforzo di rifare la vita”, differente da “quel maggio italiano che alla vita aggiungeva almeno ardore” e il giovane Gramsci “delineava l’ideale che illumina” il silenzio del presente. Da questo primo confronto nascono le riflessioni di Pasolini sulla sua vita e sulla società italiana contemporanea, il dato autobiografico si unisce e si intreccia con quello storico-politico. Emerge quindi il tema pasoliniano del cambiamento della società, avvertito drammaticamente dallo scrittore, che, sempre rivolgendosi a Gramsci, ricorda il mondo rurale, che sta ormai scomparendo e che esisteva anche prima della nascita del politico comunista. Pasolini rintraccia caratteristiche e tratti di questo mondo in quello proletario e povero delle borgate, quartieri popolari e periferici di Roma, un mondo che non gli appartiene, ma da cui si sente attratto. Il poeta ammira la vita proletaria per “la sua allegria”, non per “la millenaria sua lotta”, per “la sua natura”, non per la sua “coscienza”. In questi versi si presenta il confronto con Gramsci e con l’ideologia comunista: a Pasolini il popolo non interessa nella sua lotta di classe e nella sua coscienza di classe, ma nelle sue espressioni più autentiche e vitali, e quindi più sincere. In questi versi viene spiegata la contraddizione intrinseca del poeta tra adesione razionale all’ideologia comunista e emotivamente contro di questa: “Lo scandalo del | contraddirmi, | dell’essere | con te e contro te; con te nel cuore, | in luce, contro te nelle buie viscere.
L’istinto e la passione interiori sembrano incarnati dalla figura del poeta Shelley (seppellito poco distante da Gramsci e a cui il poeta dedica diversi versi), simbolo della “carnale / gioia dell’avventura, estetica / e puerile” a confronto con la forza razionale, incarnata dal pensatore comunista. A questa passione dei sensi e per la vita Pasolini non può rinunciare, se ne sente partecipe, ma anche vittima, come esprime con questa domanda che rivolge a Gramsci: “Mi chiederai tu, morto disadorno, | d’abbandonare questa disperata | passione di essere nel mondo?”.
L’amore per il mondo proletario, destinato a scomparire, è evidente nella malinconica descrizione finale del quartiere operaio Testaccio: gli operai tornano nelle loro case, si accendono rari lumi, i giovani gridano nelle piazze “a godersi eccoli, miseri, la sera”. E Pasolini, osservatore di questo mondo e non partecipe delle gioie dei ragazzi, ne constata l’inevitabile declino: “Ma io, con il cuore cosciente | di chi soltanto nella storia ha vita, | potrò mai più con pura passione operare, | se so che la nostra storia è finita?”. La società dei consumi, imponendo nuovi valori e un nuovo linguaggio, è la causa della fine di questo mondo, dal momento che ha omologato i costumi degli italiani, eliminando i tratti più vivi ed originali del mondo popolare.
PPPP Pier Paolo Pasolini Poeta TGR
Giornata mondiale della Poesia 21/03/21
Servizio di Francesco Tei